Anno 5 n. 92 - 7 Aprile 2005

KAROL IL GRANDE
Il nostro ricordo

Per la prima volta, dopo cinque anni, questo editoriale non si occuperà di Olio.

Forte ed incontenibile è il bisogno di unire anche la nostra voce al cordoglio che pervade il mondo intero per la scomparsa di Giovanni Paolo II.

Tutti noi sappiamo che è stato un grande Papa. Sarà la storia a dire quanto sia stato grande.

Nei nostri, personali ricordi, accanto a quelli della routine professionale, conserveremo sempre due momenti che ci hanno portato molto vicino a Karol Wojtyla.

Il primo fu nel 1978, immediatamente dopo la sua elezione. Secondo gli accordi presi in redazione, appena saputo il nome del nuovo Pontefice, partii immediatamente per il suo paese d’origine.

Arrivai in una Varsavia più che incredula, sbigottita ma come ravvivata da qualcosa che ancora non capiva ma di cui già avvertiva la portata.

Era una Polonia segnata, che piangeva ancora gli operai falciati dalle mitragliatrici dell’esercito durante la sanguinosa repressione degli scioperi del ’76, una Polonia rigidamente controllata dalla feroce polizia segreta di Edward Gierek e i cui agenti si preoccuparono immediatamente di confermarmi, con vari segnali, la loro presenza ed il loro interesse per i miei movimenti.

Per tramite di una coraggiosa interprete, presi contatto con esponenti del Kor, il clandestino Comitato per la difesa degli operai, e dalle loro parole ebbi la conferma che l’elezione del Papa Polacco avrebbe segnato l’inizio di un importante cambiamento che la storia ha confermato.

Dal bozzolo del Kor nacque Solidarnosc di Lech Walesa, nel 1981 ci fu il golpe di Jaruzelski ed oggi la Polonia è membro della Cominità Europea.

Il secondo personale ricordo di Giovanni Paolo II è dell’Agosto del ’79, sulla Marmolada, nelle Dolomiti dove il Pontefice si recò in omaggio del suo predecessore Papa Luciani originario del bellunese.
All’epoca il cordone di sicurezza intorno al Santo Padre era praticamente inesistente, il che mi permise di ingaggiare una bella sfida di velocità per le scale in salita, Nagra in spalla (11 chili di registratore) con l’ascensore che portava Lui e il seguito sulla terrazza della funivia sul ghiacciaio. Vinsi arrivando, stremato, un secondo prima che la porta si aprisse, ma non avevo letteralmente più fiato. Porgendogli il microfono riuscii a malapena e in apnea a farfugliare: “…Santità…” Mi guardò, forse divertito, sorrise come mai potrò dimenticare e disse: “E’ inverno…è un bel freddo”.

Era felice, vicino alla natura che tanto amava, in alto, vicino a Dio.

Lo ricorderò sempre così.


Paolo Francisci




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