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Ritengo importante dare voce ai lavoratori autonomi del settore agricolo (coltivatori diretti, imprenditori agricoli) su un aspetto per niente equo della Legge del 1988 sugli assegni familiari (Anf) ai lavoratori dipendenti.
Anzitutto vorrei dire che essa pone una condizione discriminatoria quando subordina la percezione dellassegno a condizione che il reddito annuo complessivo familiare sia prodotto almeno per il 70% da lavoro dipendente o da pensione derivante da lavoro dipendente.
In tal modo, se il reddito annuo di una famiglia è di 20 mila euro di cui 6 mila euro e qualche spicciolo (pari al 30,01%) sono prodotti da lavoro autonomo (cioè categorie quali commercianti, coltivatori diretti, imprenditori agricoli, artigiani o pensionati di queste categorie) allora lassegno al nucleo familiare non spetta più. E non importa se il coniuge del lavoratore autonomo presta lavoro dipendente o è pensionato come tale e guadagna allanno complessivamente gli altri 14 mila euro.
Al posto dellAnf viene invece concesso al lavoratore (o pensionato) autonomo il vecchio assegno familiare di euro 10,33 a figlio, cui eventualmente vanno aggiunte le relative - ma irrisorie - maggiorazioni. Insomma davvero una miseria.
In questo caso mi domando: come fa ad andare avanti una famiglia con uno o sette figli a carico, che però a causa della iniquità della Legge non ha diritto alla percezione dellassegno per il nucleo familiare?
Mi domando: ma in questi sedici e passa anni di vigenza della Legge del 1988 nessuno tra politici, studiosi e sindacati si è preso la briga di combattere contro questa ingiustizia?
Domenico Giordano
Taurianova (RC)
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